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Basketground lunedì 29 agosto 2005 at 15:38
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Prendete un telefilm americano, di quelli ambientati in posti soleggiati con belle spiagge, tanti bar dove prendere drink a profusione, dove il tempo sembra non passare mai.
Prendete un uomo dalla storia particolare, con iniziative altrettanto particolari e, come ama dire lui stesso, “il giusto mix di presunzione e umiltà”.
Metteteli insieme, e benvenuti a Capo d’Orlando: una città che si è resa protagonista di tante prime pagine di quotidiani sportivi grazie a quello che è stato definito un irripetibile miracolo, un’impresa, dall’omonimo titolo del dvd celebrativo realizzato appositamente per rivivere la promozione della squadra di basket nel massimo campionato.
12.000 anime, più o meno, compongono una realtà che vedrà sbarcare le scintillanti divise ed i prezzolati campioni di Bologna, Treviso, Milano, Roma, Siena...un sogno, una visione.
Di chi? Dell’uomo di cui abbiamo accennato, che per gli orlandini e adesso per tutta l’Italia, almeno quella cestistica, ha un nome e un cognome: Enzo Sindoni.
Con lui al timone, in meno di dieci anni, la squadra è passata dal rischio di scomparire non iscrivendosi nemmeno alla Serie C2 alla vittoria di una LegAdue che aveva già una protagonista designata, ma non era l’Upea, che è lo sponsor della squadra locale ma anche una fiorente azienda, l’Unione Produttori Esportatori di Agrumi, che Sindoni detiene al 50%. “Due miei amici mi aspettarono una sera fuori dal palazzo comunale, per dirmi che la squadra di basket sarebbe scomparsa il giorno dopo se non fossero state portate le necessarie garanzie per l’iscrizione in Serie C2: io interpretai la cosa non come un appello al sindaco che ero, quindi una cosa formale, ma come una richiesta d’aiuto a un tifoso che per fortuna e meriti era riuscito a farsi una posizione di riguardo. Il pomeriggio successivo sistemai tutto e, di fatto, mi trovai con la squadra in mano. Veniva da una retrocessione con 1 vittoria e 29 sconfitte”.
Correva l’anno 1996, da lì è iniziata la clamorosa scalata al vertice dell’Orlandina basket: ma Enzo Sindoni, chi è?
“Un emigrato per destino – dice – figlio di un siciliano emigrato nel Venezuela, dove ancora oggi ho interessi con la mia famiglia (tra i quali la commercializzazione del marchio Nutella, ndr), poi tornato da piccolo in Italia, prima a Milano e infine qui a Capo d’Orlando, dove sono rimasto e quindi posto fine a questi mutamenti”.
E il legame con lo sport?
“Quando ero a Milano non passava fine settimana che non fossi tra gli ultrà del PalaLido, non tra gli spettatori, per basket e volley e a San Siro (sponda Milan, ndr). Ho alimentato così questa mia grande passione, che adesso fa parte della mia vita anche professionale nonostante sia stato modestissimo interprete di tutte le discipline che ho provato a praticare”.
E come è proeguito tutto questo a Capo d’Orlando?
“Ho iniziato facendo il radiocronista sportivo, poi nel 1983 sono entrato a far parte della dirigenza della squadra di calcio, svolgendo mansioni di tutti i tipi, accompagnando i ragazzi delle giovanili in pulmino o facendo altre cose per la prima squadra, poi nel 1993 sono diventato parte della proprietà, e dichiarai che avremmo portato la C2 a Capo d’Orlando entro il 2000, cosa che suscitò non poche ilarità. Invece andammo subito benissimo, fino all’interregionale nel 1996, quindi quelle mie parole non erano poi così campate in aria. Poi però la società decise di rimanere a gestione pressochè familiare, e dopo un cambio di allenatore che non mi trovava d’accordo iniziai a defilarmi”.
E si incrociò, guarda caso, con il basket.
“E anche qui fu subito successo: dopo l’1-29 della retrocessione dalla C1 facemmo il record esattamente inverso per ritornarci, e vincemmo anche la serie superiore con 26 vittorie e 4 sconfitte. Si aprirono quindi le porte della B2, e qui sono arrivati in società due personaggi che saranno in seguito fondamentali: uno è il general manager Venza, l’altro Alessandro Fantozzi, elemento tra i migliori del basket italiano che veniva ad accettare una scommessa che ha subito fiutato come vincente”.
Perchè decise in quel momento per l’arrivo di un gm come Venza?
“Perchè avevo cognizione del fatto che nel 2001 ci sarebbero state sei promozioni dalla B1 alla LegAdue, e a lui ho detto che era un’occasione troppo importante per non essere colta: volevo un dirigente capace di aiutarci a costruire un progetto così importante”.
Però in quella stagione (1998/99) si registra il primo “stop” della sua gestione.
“Sì, e ci poteva anche stare per una neopromossa, per quanto ambiziosa, di essere eliminata al primo turno dei playoff: ma il mio programma era chiaro, bisognava essere in LegAdue nel 2001 e quindi avremmo dovuto vincere altri due campionati consecutivi”.
Fu allora che arrivò in società il vostro attuale direttore sportivo, Diego Pastori.
“Che aveva giocato ad Aprile una semifinale scudetto con Reggio Emilia (persa contro l’allora Teamsystem Bologna, ndr), e probabilmente fu spinto ad accettare la nostra proposta per via della presenza di Fantozzi e di Giovanni Papini in panchina, venuto a sostituire Massimo Cucinotta che era arrivato alla fine del suo ciclo, senza polemiche”.
Papini che, però, non potrà proseguire il cammino intrapreso.
“No, per via di problemi di salute che rimangono fatti privati e quindi vanno rispettati. Al suo posto è arrivato poi Toni Trullo, con cui vincemmo il campionato in maniera rocambolesca con una vittoria esterna in Gara 3 nei playoff. Il coach poi ufficialmente fu attirato dalle sirene di Ferrara, ma in realtà c’erano anche dei motivi di ordine familiare alla base della sua decisione di lasciarci”.
Così torna Papini e arrivano anche Spangaro, Orsini, Bianchi, Plateo...
“Sì, e con mia grande soddisfazione ho potuto dire a tutta Italia che Giovanni Papini era un uomo integro che tornava a fare il suo lavoro: purtroppo però la stagione iniziò male, con cinque sconfitte consecutive. Poi ci fu la vittoria di Trapani, dove speravo che fosse arrivato finalmente il momento che ci avrebbe sbloccati. Non fu così, e dopo 8/9 partite decisi di esonerare Papini, e se questo ebbe un risultato positivo du quello che i giocatori capirono che avrebbero dovuto ingoiare qualsiasi boccone amaro, e che sarebbero dovuti uscire loro per primi da questa situazione”.
Con Franco Gramenzi in panchina.
“Già, che fece assolutamente un bel lavoro e con il quale nacque un bel feeling con la piazza, ma come ho detto in precedenza penso che furono soprattutto i giocatori, di livello importante per la categoria, a capire come venire fuori dalla situazione. Iniziammo quindi il cammino verso la promozione, che non arrivò senza qualche colpo di scena”.
Ad esempio?
“L’ultima giornata: dovevamo giocare in casa, e vincendo potevamo arrivare secondi o settimi. Il primo caso, però, non fu neanche contemplato dai vari siti e giornali specializzati, talmente era improbabile. Eppure andò esattamente in quel modo, arrivammo secondi, ed il resto è storia: la vittoria nei playoff contro Pavia il 12 maggio, che rimane una data assolutamente storica per noi”.
Nel frattempo succede anche un’altra cosa: arriva il PalaFantozzi. Una spiegazione è doverosa.
“Iniziammo a giocare in B1 al PalAlberti di Barcellona Pozzo di Gotto, perchè non avevamo ancora un impianto adeguato. Così iniziammo a costruire quello dove giochiamo e giocheremo in Serie A, che nella mia testa avrebbe potuto contenere 3.500 spettatori. Mi dissero che sarebbe stato eccessivo, ma io risposi che per la Serie A quello era lo spazio che serviva. E anche allora arrivarono risate. Adesso, invece, siamo proprio dove io pensavo che saremmo arrivati, e mi pento di non aver fatto costruire interamente il palazzo allora, così non saremmo dovuti passare per qualche intoppo per l’ampliamento”.
Parliamo di come si pone la società all’ingresso in Serie A: molti vi vedono come candidati annunciati alla retrocessione, tutti hanno ancora ben chiaro il triste epilogo della Pallacanestro Messina.
“Attenzione, qui bisogna fare dei distinguo: accetto serenamente i pronostici sportivi. So che, secondo molti, noi abbiamo tante possibilità di retrocedere, non sono d’accordo, ma lo accetto. Da cosa mi viene la mia convinzione? Dal fatto che abbiamo ben chiare le idee riguardo al tipo di squadra che vogliamo fare e su come raggiungere i nostri obiettivi. E dalla convinzione di avere in panchina il miglior allenatore d’Italia con Giovanni Perdichizzi. Poi, se retrocederemo, ripartiremo dalla LegAdue, non ci sarà nessun problema. È un fatto sportivo e come tale va accettato. Riguardo alle possibili insinuazioni sulla solidità della società, le respingo sul nascere: noi, a differenza della Pallacanestro Messina, abbiamo una storia, un’identità sul tessuto sociale, abbiamo costruito le nostre fortune sulle vittorie partendo da molto lontano. E l’organizzazione del nostro club è ben diversa. Inoltre, qui a Capo d’Orlando anche la comunità si è mobilitata attraverso l’Orlandina Team, una sorta di pool attraverso il quale circa 80 imprese della nostra città ci sostengono. Siamo ben coscienti dell’importanza di avere portato il massimo campionato nazionale a Capo d’Orlando, e faremo tutto il possibile per tenercelo stretto”.
L’organizzazione c’è e si vede, prima di tutto nella praticità. Sindoni ha praticamente riunito in un solo edificio tutte le sue attività: gli uffici dell’Upea, la sede dell’Orlandina, e gli studi della televisione locale Antenna del Mediterraneo, di cui è editore. È anche a capo della squadra locale di calcio femminile, promossa in Serie A2. Salvezza, dicevamo: ma detta da uno come Enzo Sindoni è una parola strana “Restare in Serie A è il primo obiettivo da centrare in questa stagione, ma in futuro non sarà l’unico. Se dico adesso dove vedo questa squadra nei prossimi anni in tanti si metteranno a ridere. Ma in fondo è sempre successo quando ho annunciato i nostri successi. E finora siamo sempre arrivati ai nostri traguardi”.
La storia di questa Orlandina e la sua sembrano quasi una sorta di chimera, un sogno, in una terra come la Sicilia che di speranze e di esempi positivi ha bisogno come dell’acqua: si può dire che questa società e questa squadra almeno dalle vostre parti sono state quest’esempio?
“Io sono convinto di una cosa: che si possa fare bene dovunque, anche nelle condizioni più difficili. Ne ho viste tante, qui, e tante ancora probabilmente ne devo vedere. Però, alla fine, sono arrivato dove volevo io. Semplicemente bisogna prendere coscienza del fatto che per arrivare da qualche parte a volte bisogna fare un giro più lungo. Per cui se è vero che la Sicilia vive spesso di etichette negative, è altrettanto vero che chi ha fiducia nei suoi mezzi può riuscire”.
Ci si lascia con un impegno: ritrovarsi a Capo d’Orlando per vedere dal vivo come si concretizzano queste parole, e anche, magari, per godersi qualche giorno di sole in spiaggia. E poi, come ricorda Sindoni, “il mare c’è in tanti posti, l’Orlandina è solo qui”.
Pietro Scibetta
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