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La Gazzetta del Sud domenica 20 maggio 2007 at 17:15
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Con Giovanni Perdichizzi va in archivio un pezzo di storia dell' Orlandina basket. Troppo freschi sono i successi colti dalla formazione paladina in questi ultimi tre anni per poter esprimere giudizi distaccati, ma siamo certi che quando fra qualche anno si "rileggeranno" le performances di quest'ultimo triennio abbandonandosi ai ricordi della memoria, l'epopea dello "sceriffo" brillerà di luce ancora più vivida. La trionfale cavalcata in A2, al suo esordio sulla panchina biancazzurra (e con un budget inferiore del 30% rispetto a quello del torneo precedente di B1 conclusosi con la salvezza ai playout), e le due permanenze in A, strappate con le unghie e con i denti, danno la dimensione vincente del tecnico barcellonese, che ha interrotto con un anno di anticipo sulla scadenza contrattuale il suo rapporto con il sodalizio di via Alfano. Motivazione ufficiale? La mancanza di quegli stimoli indispensabili per fare meglio. E c'è un fondo di verità in questa spiegazione: la caccia ai responsabili del disastroso girone di ritorno (appena 4 vittorie contro le 9 dell'andata) non lo ha risparmiato, costringendolo a vivere in solitudine le sofferenze che hanno accompagnato tante figuracce. Se ci fosse stata una difesa d'ufficio da parte della società o, comunque, se il mea culpa fosse stato recitato coralmente, Perdichizzi si troverebbe ancora al suo posto, a costruire ancora una volta dal nulla (per il quarto anno consecutivo) la squadra per la salvezza. Ma tant'è. Lo "sceriffo" adesso guarda al suo futuro con una squadra di A, senza però scartare la possibilità di scendere di categoria se la nuova società dovesse condividere il suo progetto ambizioso, per intenderci sul modello di Capo d'Orlando. Perdichizzi non si sottrae, però, ad un amarcord. – Dacci un giudizio tecnico sulle tre squadre che hai allenato a Capo d'Orlando. «In Legadue ho avuto una squadra dagli equilibri irripetibili, con tre americani che si rispettavano (Oliver, McIntyre ed Howell) e nella quale Brian era il leader indiscusso. Quel gruppo, con qualche ritocco, avrebbe fatto bene anche in A. Lo scorso anno, nella massima serie, siamo partiti ad handicap a causa di varie traversie, ma poi siamo usciti alla distanza. Quella era la squadra meno talentuosa che ho avuto a disposizione, ma era animata da un grande spirito di sacrificio e poteva contare su punti di riferimento importanti come Evtimov, Perry e Carter, senza dimenticare che abbiamo lanciato un giocatore di sicuro avvenire come Janicenoks. Quest'anno ho potuto contare su una squadra composta da talenti incredibili, un gruppo molto motivato intorno a Young e Busca, con il costante utilizzo di tre giovani come Tourè, Mokongo e Francis. In particolare, a Tourè abbiamo dato la dimensione di "numero 3", soprattutto quando la condizione fisica di Freeman andava scemando». – Indicaci starting five e panchina con i giocatori avuti a disposizione. «Quintetto base con McIntyre, Young, Carter, Wells ed Howell, dalla panca Busca, Hoover, Janicenoks, Tourè ed Evtimov». – I successi che non dimenticherai. «La promozione in A, le due salvezze che equivalgono a scudetti per una piccola società come l'Orlandina, e le due vittorie, quest'anno, con i campioni d'Italia della Benetton Treviso». – Ti senti in debito con Capo d'Orlando? «Debbo tanto all'Orlandina e al suo presidente Sindoni per avermi dato la possibilità di riscattarmi dopo le disavventure di Messina. Mi mancherà sicuramente il rapporto umano con la splendida comunità di Capo d'Orlando. Ma qualcosa ho pur dato anch'io. O no?». Cala il sipario sull'avventura dello "sceriffo" alla guida dell'Orlandina. La separazione consensuale, in fondo, non è un dramma, specie quando ci si lascia civiliter. E poi, non è un addio: le vie del Signore sono infinite. Walter Mangano |
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