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La Gazzetta del Sud lunedì 30 luglio 2007 at 11:04
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UN privilegio riservato a pochi. Avere in società un mito dell'argento 1980 e uno degli eroi che fecero l'impresa ad Atene 2004. E Capo d'Orlando è tra le elette, insieme con Milano (Dino Meneghin dirigente e Bulleri), Roma (Brunamonti dirigente e Righetti), Rieti (Riva manager e Mian per ora in organico). Ma il fascino dell'accoppiata Meo Sacchetti-GianmarcoPozzecco va oltre. Intanto per i ruoli, in quanto Meo va in panca a condurre la squadra e il Poz sarà la sua emanazione in campo. Per le due tipologie così diverse di persona e personaggio. E per i rapporti con l'azzurro, quasi opposti. Meo entrò come tanti dalla porta di servizio in Nazionale, era il 21 maggio 1977, era Italia-Messico amichevole ad Ancona. E non ne uscì praticamente più. Toccò il momento magico tre anni dopo, nell'Olimpiade del boicottaggio americano, Mosca 1980. Ovvio, l'Urss era favoritissima. Ovvio, Sergei Belov era uno dei protagonisti più attesi. Un uomo dell'Armata Rossa perdavvero. E invece fu Italia. Meo all'epoca era già diventato l'agente speciale difensivo per coach Sandro Gamba. Lui e quei baffoni un po' così, lui e quell'aria bonacciona dietro la quale si celava un cuore grande. E silenzioso, uno che stava nel gruppo. Mai una storiella che sia emersa con lui protagonista bizzarro. E però anche uno capace di colpire, con il tiro che s'era costruito: 15 punti alla Jugoslavia nel girone, 13 all'Urss. Che però rappresentavano una ciliegina, dopo aver ridotto a miti consigli proprio Belov. E grazie a quella partita, ecco le chiavi per l'argento olimpico. Un panzer, Meo. L'uomo delle partite decisive, Sacchetti. Se c'era da giocarsi qualcosa di importante, lui batteva un colpo. La finale con la Spagna all'Europeo di Francia 1983. Italia mai d'oro prima d'allora. E dopo bisognerà attendere 16 anni. Ebbene Sacchetti è la chiave del gioco offensivo di Gamba, fatto di contropiede lanciato da una difesa di granito. Il suo uno contro uno, poi, ha raggiunto livelli d'eccellenza: 15 punti alla Spagna. Spagna che capitolerà nella finale per il bronzo, due anni dopo a Stoccarda: 24 punti del ragazzone di Altamura, che peraltro ne aveva rifilati 27 alla Francia, suo record azzurro. In totale fanno 135 presenze e 925 punti, quasi 7 di media che non ne raccontano l'importanza cruciale. Diverso il discorso per la "mosca atomica", due volte schiacciata prima che la lasciassero volare, libera, appunto. Debutto addirittura sotto coach Messina, il 27 dicembre 1994, un Grecia-Italia. La stessa Grecia con cui ha stabilito il proprio record di punti, 24, il 21 agosto 2005 in amichevole a San Benedetto. E però la Grecia, così dolce per lui ad Atene 2004, gli ha riservato anche una prima cocente delusione. Di quelle da cui potresti anche non riprenderti più. Escluso, rispedito a casa, con polemiche infinite proprio dal torneo Acropolis di Atene, vigilia dell'Euro 1999. I due non si sposavano certo. Boscia che insegue tuttora il sogno di un playmaker di oltre due metri (ci ha provato con Bodiroga, era convinto lo fosse Andrea Meneghin) e non legava con l'esuberanza ironica del Poz. E Poz che non capiva Boscia. Allenamenti che diventano torture, come le cene e le trasferte. E poi quell'Italia aveva già tanti giocatori con caratteri forti. In fondo ha avuto ragione Boscia. E non era ancora il momento dell'eroe maudit. Rapporto astioso culminato col Poz che finge di fumare il sigaro dopo aver vinto il derby 2002 contro la Virtus di Boscia, il giorno dell'esonero di Boniciolli. Tutto si sarebbe aspettato Poz, salvo che identico destino gli riservasse Charlie Recalcati, l'allenatore della stella varesina, prima dell'Euro 2003. A Gianmarco che aveva atteso tutti quegli anni, perdendosi l'oro di Parigi e la partecipazione a Sydney, ma pure sorridendo per il tonfo di Turchia 2001. Eppure il nuovo ct lo manda a casa. Narra la leggenda di un "furto" scherzoso di pullman a Bormio, o diverbi in allenamento con l'assistente. Leggende, probabilmente. Ma non è questo il punto e non è questo che fece soffrire il ragazzo ormai uomo. È che Recalcati puntava a creare un certo gruppo e riteneva inadatto Poz. O comunque più adatto Lamma, massì. Il bronzo con biglietto per Atene gli ha dato ragione. E il ct ha sorpreso tutti, allora, richiamando Poz. E Poz ha ripagato con interessi. Regia sempre lucida, cambi di ritmo nelle rimonte o le fughe, passaggi illuminanti. E persino difesa, con quel pallone rubato ai lituani e seguente urlo. Ben 17 punti nella storica semifinale, con 8 assist. E l'emblema, più delle interviste impossibili, resta quell'inchino al pubblico di Colonia dopo aver dribblato per l'ennesima volta Iverson. Poz (11 e 8 assist in quella partita da sogno), professore di "pick and roll" che gli statunitensi digeriscono meno del tiro da tre internazionale. Tanto da perdere così con la Grecia nel 2005. Ecco, alla fine Boscia e Poz si ritrovano uniti nel prendersi beffe dell'America: incredibile ma vero. Perla statistica, solo 83 partite azzurre del play, con 594 punti. Anche stavolta i numeri dicono poco. I numeri mica sono uomini. Piero Guerrini |
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