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Il Giorno
lunedì 30 luglio 2007 at 11:05


LA FOLLIA, sia detto con tutto il rispetto possibile, spesso è una virtù dei grandissimi. E Gianmarco Pozzecco un grandissimo lo è di sicuro. La Mosca atomica sta trascorrendo gli ultimi giorni di vacanza sull’isola spagnola. Capo d’Orlando l’attende.
Oltre a Upea e Virtus chi l’ha cercata?
«Ho avuto parecchie offerte dall’estero. Mi volevano in Russia, in Turchia e in Spagna. E qualcuno, non solo la Virtus, in Italia».
Un ricordo da Mosca?
«Ci sono delle gran gnocche. Negli ultimi cinque mesi però mi era scesa la catena. Mi mancavano le cose semplici. Leggere i giornali, bere il cappuccino e dire due cavolate con il barista. Il russo, poi, è una lingua difficilissima».
Con l’azzurro ha chiuso?
«Ci crede più Sindoni (il presidente dell’Upea, ndr) di me. Non voglio mettere pressioni a nessuno, Recalcati in primis. Però sarebbe bello chiudere la carriera alle Olimpiadi. È anche vero che ora sto meglio qui a Formentera piuttosto che a Bormio in ritiro a faticare con gli altri deficienti (in «pozzecchese» sta per simpaticoni, ndr)».
E la nuova Varese?
«Tre deficienti così tutti insieme (Mrsic, Vescovi e Meneghin, il nuovo staff tecnico biancorosso ndr) non li avevo mai visti. Poi c’è De Pol, che va in campo, e sono quattro. Se avessero preso me avremmo fatto un quintetto di deficienti. Scherzi a parte, darei via una palla per giocare a Varese. Però vorrei il trio della panchina in campo con me».
Lo scudetto del ’99...
«È stato un evento storico. Paragono quel tricolore ai campionati vinti da Samp e Verona nel calcio. Trionfare da outsider è una libidine insuperabile. Molto meglio della medaglia olimpica. Quell’anno Varese ha vinto con tre persone da manicomio in squadra. Io, il Menego e Zanus Fortes».
Il coach preferito?
«Dado Lombardi numero uno. È l’allenatore più divertente del mondo. L’anno dello scudetto a Varese ogni giovedì uscivamo a cena per cementare il gruppo. Di solito sono le cose più pesanti del mondo. Io quell’anno non vedevo l’ora arrivasse giovedì. Lombardi non ordinava mai niente. Quando passava un piatto che gli piaceva gridava "è mio" e se lo pappava. Così mancava sempre qualcosa».
Ha dei rimpianti?
«Per niente. A volte ho fatto scelte che, in seguito, si sono rivelate sbagliate. Ma, allora, mi sembravano giuste. Quando ho lasciato la Nazionale, per esempio, c’erano sette o otto squadre più forti dell’Italia. Io in quel periodo non mi sentivo valorizzato. Quando ero a Varese, Olympiakos e Panathinaikos erano pronte a ricoprirmi di soldi. Andai dal presidente Bulgheroni a dire che mi avevano chiamato. Poi gli chiedevo se potevo andare. Lui diceva sempre no. E io ero contento. Vivevo a Milano e mi divertivo alla grande.
Il 27 dicembre giocherà a Varese...
«Supersfiga. Avrei preferito giocare la penultima di serie A a Masnago. Se l’Upea sarà tranquilla, chiederò a Sindoni di rescindere il contratto e l’ultima partita rivestirò la maglia di Varese. Certe cose non hanno prezzo».
Non andare alla Virtus...
«È una di quelle».
ENRICO CAMANZI
 

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