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La Gazzetta del Sud
giovedì 30 agosto 2007 at 11:40


Luoghi comuni su Gianmarco Pozzecco? Siamo onesti, ce n'è un campionario amplissimo: non ha "testa", litiga con gli allenatori, pensa solo a divertirsi, chissà che atteggiamenti da "primadonna" avrà in un ambiente come Capo d'Orlando... Certo, l'amore per il giocatore (più ancora che per il personaggio) può aiutare a farsi un'idea più onesta, ma un pizzico di pregiudizio ci sarà sempre.
E così, salendo verso Tripi, tra le tante curve nel mezzo del nulla che portano al bellissimo Borgo Abacena (dove l'Orlandina ha in pratica ultimato la prima fase della preparazione), è scontato che venga in mente «Ma come fa Pozzecco a resistere qui?». Una volta arrivati, qualcuno prova anche a chiederglielo, ricevendo come risposta un "altolà" con la mano e un fermo «No, qui si sta proprio bene». Aggiungete che lo troviamo sì in piscina, ma impegnato ad ascoltare i racconti di Meo Sacchetti (mattinata libera, ovviamente) e si può già fare giustizia di tutti i luoghi comuni che lo hanno sempre accompagnato.
E sì, perchè la verità – e a parlarci si coglie subito – è che Gianmarco è uno che vive per la pallacanestro, che respira pallacanestro. Ma è anche uno che vive di entusiasmi, e allora Capo d'Orlando può essere veramente il posto giusto in questo momento dellla sua carriera: «A Varese ero un uomo felice, mi divertivo giocando e ho anche vinto lo scudetto – racconta – poi alla Fortitudo mi sono un po' intristito perché ero uno dei tanti (e giù una lunga digressione sul fatto che ai tempi di Livorno il giovane Pozzecco e "Sugar" Richardson non erano "uguali": vi risparmiamo i particolari) e perché nelle grandi società c'è un'organizzazione diversa, sin troppo professionale. A Mosca, non l'ho mai negato, sono andato per soldi e il primo anno ho anche giocato bene, ma poi fare voli interminabili per giocare a Vladivostok mi ha stancato... Ecco, la Virtus al di là della rivalità con la Fortitudo sarebbe stata meno divertente di Capo d'Orlando: l'entusiasmo di Sindoni e della piazza mi hanno già contagiato».
L'ex play azzurro, però, non fa mistero di aver scelto l'Orlandina anche per un altro motivo: la presenza di Meo Sacchetti sulla panchina. «Lui è la storia della pallacanestro, una storia che ogni giorno a Varese mi raccontavano in venti – sorride – e poi io sono un po' all'antica da questo punto di vista perché mio padre giocava, ho un grande rispetto per i "miti" del passato. Una cosa che nei giocatori giovani non vedo: anche in Russia, se parlavo di Tikhonenko, dei miei compagni lo conosceva forse Gorenc. Certo, poi magari anche Meo lo mando (censura), ma senza farmi vedere: avete visto quant'è grosso?».
Altro pregiudizio – questo, magari, neanche negativo – che viene ben presto sfatato dall'andamento della chiacchierata: non sono le battute o i giudizi espressi fuori dai denti il fulcro del suo pensiero. È "carico" come una molla, ma mostra di avere ben chiari i propri pregi e i propri limiti. «A trentacinque anni, guardando indietro come mi comportavo da giovane – spiega – mi vergogno da morire: ad esempio ancora oggi, se vedo Bianchini, non riesco a guardarlo in faccia... Qui sento molto la fiducia dell'ambiente, ma anche la responsabilità».
Una fiducia che potrebbe anche ridargli quella Nazionale che affronta gli Europei con un "buco" grosso così in regia. «È una squadra di talento e ha due prime scelte Nba, ma non credo sia la Nazionale più forte di sempre – argomenta – perché una volta c'era più differenza tra la Nba e l'Europa. E secondo me, Myers e Fucka nella Nba avrebbero fatto i bambini coi baffi». Vorrà dire che a Pechino, dopo una grande stagione all'Orlandina il play sarà lui... Gianmarco ride, non risponde e saluta. Ma, probabilmente, in fondo un po' ci crede. Poz è tornato. E la convinzione che ci siamo fatti è che è tornato per fare sfracelli.
Max Passalacqua
 

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