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La Gazzetta del Sud
giovedì 30 agosto 2007 at 11:41


Li vedi assieme e fai fatica a capire come possano integrarsi. Personaggi così diversi. Il gigante buono e la mosca atomica. Pensi a Meo Sacchetti e ti viene in mente il lavoro, la serietà, l'abnegazione. Lui, eroe silenzioso, l'agente speciale di Sandro Gamba per le missioni impossibili, il mastino da appiccicare sul nemico più "pericoloso". Lui, capace di mandare in Paradiso i "mediani", di rappresentare l'icona della rivincita di quelli costretti a remare per una vita perché considerati bravi, ma non formidabili.
L'altro, il Poz, normale non lo è mai stato. Altro che una vita da mediano... Abituato a vivere sempre un gradino sopra la routine, la normalità. Talento infinito per Dna, uno di quelli baciati dagli dèi del basket.
Ed invece in una caldissima mattina di agosto, la "mosca atomica" è accovacciata in religioso silenzio su un lettino, sul bordovasca della bellissima piscina del Borgo Abacena che ospita la truppa paladina. Ascolta la parabola di "papà" Meo, immerso in acqua a bearsi tra il piacere del refrigerio e quello dei ricordi. Si scrive Olimpiade 1980 a Mosca, si legge storica medaglia d'argento per gli azzurri. Seguito dall'oro di Nantes. Meo c'era. E racconta. Il "Poz" ascolta.
Dicono che abbia scelto Capo d'Orlando anche per questo. Poter stare a contatto con Meo, quell'uomo di cui sentiva parlare già da bambino in quella Varese dove si cresce a pane e basket.
A fine mattinata, le strade dei due si separano. C'è l'ora del pranzo da rispettare. Una doccia e via. In sala ci arriva per primo il coach. Maglietta verde, come il colore del risotto servito. Il tavolo è quello della dirigenza, con il ds Vacirca, e gli uomini dello staff. Poz, invece, detta legge in quello dei giocatori. Qualche battuta a distanza. Tra i due c'è feeling, si sente nell'aria. Meo non ne fa mistero. «Lo conosco da tempo – racconta il coach – io allenavo a Bergamo, dove giocava anche la ex fidanzata del Poz (Maurizia Cacciatori, ndc). Spesso, quando rientravo a casa a Varese, dove invece giocava il Poz, facevamo la strada assieme».
Il risotto è già digerito... Adesso si passa alla carne. «Qui si sta benissimo, ci trattano in maniera divina» continua Sacchetti. Il coach parla di tutto. «Ma cosa rischiano i due fratelli che hanno arrestato per gli incendi di Patti?» chiede. E poi ancora: «E il caso Catania, con i tre giocatori che avevano denunciato la società per mobbing, com'è finito?».
Poi, però, il richiamo del basket è irresistibile. «Ho letto sul giornale che stanno organizzando i Mondiali di basket under 45 e under 50. Ci sarà da ridere».
«E a te, coach, non ti hanno chiamato? – sussurra poco più in la, Peppe Condello – tu sei un pezzo della storia del basket italiano».
«Io ormai non gioco più a pallacanestro – tuona, sorridendo (ma non troppo), Meo – però so che qualche mio amico ci andrà. Penso a Marco Bonamico e mi vengono i brividi. Vi racconto un episodio che non dimenticherò mai: giochiamo con la Jugoslavia, si tratta di un'amichevole anche se le partite con gli slavi non lo sono mai state. Tutto tranquillo per un tempo, poi all'improvviso all'inizio del secondo parziale vediamo Kicanovic in terra, con le mani in faccia. Nessuno ha visto niente. Io mi giro verso Marco e sembrava un bimbo. Poco ci mancava che fischiettasse. Ho capito subito che era stato lui. Per gli altri sarà dura affrontarlo anche a 50 anni. Un giocatore di carattere, come è necessario in una squadra».
E il Poz ascolta...

Mauro Cucè
 

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