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Rassegna Stampa

La Gazzetta del Sud - domenica 25 maggio 2008 at 11:06

Gianmaria Vacirca resta all' Orlandina. Adesso è ufficiale. Ha firmato un contratto per un anno. Sabato scorso, dopo un lungo incontro con il presidente Enzo Sindoni, aveva detto che la decisione sarebbe arrivata nell'arco di una settimana. È stato di parola.
Il mosaico tecnico per la stagione 2008-2009, la più difficile perché è quella del dopo-Pozzecco e perché arriva dopo una serie di storici traguardi appena conquistati, si è così completato.
La conferma del binomio Sacchetti-Vacirca era il primo passo per continuare a crescere e la società è stata lungimirante, tenendo in considerazione le richieste di allenatore e manager.
– Gianmaria, hai preso tutti in giro con il ritornello «Vado via». Invece ai profumi e ai colori di Capo d'Orlando per il momento non puoi rinunciare.
«Non è esattamente così, anzi è il contrario. Diciamo che quasi tutti avevano maturato la convinzione che non ci saremmo rivisti, e dopo l'annuncio che diede Sacchetti, non seguito dal mio, tale convinzione divenne una certezza. Tanto valeva allora smettere di smentire ciò che per gli amici orlandini era divenuto non smentibile».
– Cosa ti ha convinto a rimanere?
«Non è un mistero che la scelta comportava molte implicazioni, soprattutto di natura personale. Alla fine ha prevalso la volontà di mostrare gratitudine per l'opportunità e la fiducia ricevuti lo scorso anno e per l'affetto che mi ha trasmesso la gente. In Sicilia viene fatto sentire Re anche un cortigiano. Sindoni ha capito le motivazioni che rendevano difficile questa scelta, ha dimostrato flessibilità, reimpostando il rapporto di lavoro, avvicinandosi a determinate esigenze ritenute imprescindibili. Le altre opportunità sono rimaste chiacchiere: il punto focale era capire che questo lavoro, iniziato come un gioco, era diventato una cosa molto seria. Sandro Crovetti, manager di Ferrara e persona che ascolto più di tutte, mi ha dato i consigli giusti».
– Anche cuoco di alto livello e speaker radiofonico: Capo d'Orlando, sebbene sia molto lontana in tutti i sensi dalla tua Lombardia, riesce a valorizzare l'originalità di Vacirca.
«Per cinque mesi sono stato chiuso in casa, prigioniero nella terribile veste di diesse, un nomignolo più da hard discount che da professionista. Poi ho cercato di farmi conoscere come persona, con i miei pregi e i miei difetti. Non chiamatemi più diesse, ma Gianmaria».
– Dopo la Final Eight di Coppa Italia, il sesto posto in stagione regolare e i quarti dei playoff, ripetersi rappresenta un'impresa. In realtà lo "scudetto" di Capo d'Orlando sarà sempre arrivare al terz'ultimo posto.
«È vero, ma ci siamo abituati bene e nessuno vuole perdere. Mi piacerebbe vivere un'altra stagione positiva, ovvero raggiungere il 50% di vittorie in campionato e fare bene nelle altre competizioni».
– I 400 biglietti invenduti di gara-2 con Avellino e lo sparuto gruppetto di tifosi presenti al "PalaDelMauro" nell'ultima gara stagionale testimoniano che c'è ancora tanto da lavorare.
«Lo ammetto, ci siamo rimasti male un po' tutti, specie per la partita in casa. Ritengo, ma è un'opinione mia, che al "PalaFantozzi" vadano rivisti i prezzi dividendo l'impianto in quattro settori e non due. Sui pochi tifosi presenti ad Avellino in gara-3, che ringrazio, può aver pesato il turno infrasettimanale combinato alla diretta Sky pensata per l'addio a Pozzecco».
– Tu e Meo Sacchetti...
«Siamo due persone completamente diverse che si completano molto bene. Fuori dal campo ci saremo visti una decina di volte sia a Capo d'Orlando che a Castelletto. A lui piace giocare a carte, a me no. A lui piace mangiare, io sono sempre a dieta o almeno ci provo. Cerco di dargli i giocatori che reputo adatti al suo modo di pensare la pallacanestro. Siamo due persone oneste, non ce le mandiamo a dire e credo che la gente se ne sia accorta. In viaggio valiamo Totò e Peppino per le scenette che precedono la scelta di un ristorante o le opinioni sui giocatori. Sotto sotto, lui è un tipico varesino, io un tipico milanese».
– Cosa ti ha lasciato, sportivamente e umanamente, Gianmarco Pozzecco?
«Vivere l'ultimo anno di carriera di Pozzecco è stata un'esperienza che esula dal mero fatto sportivo. Sfociamo nella socialità della questione. Ha giocato un grande campionato ed è stato amato da tutti i compagni di squadra e dai membri dello staff. Si è comportato da grande professionista ed ha apprezzato il nostro modo di rapportarsi con lui. È una persona di grande bontà, forse troppa. Per lui ora inizia un'altra vita, nella quale sarà fondamentale selezionare chi gli sta attorno».
– L'Uleb Cup sarà un impegno importante e delicato. Il tuo sogno è di far diventare Capo d'Orlando un simbolo sportivo della Sicilia in Europa. Sfida appassionante.
«Il sogno è mio, ma la sfida è dei siciliani. Questa realtà è una grande opportunità per una terra che dà l'impressione di accontentarsi e di non voler sfruttare a pieno le incredibili risorse che ha. La pallacanestro a Capo d'Orlando oggi vale, in termini di visibilità, quanto il calcio a Catania e a Palermo. Con la differenza che siamo a Capo d'Orlando e non in due metropoli: diamoci da fare e alziamo la posta!»
– Dopo le felici intuizioni di Wallace, Diener e Beck e per taluni aspetti Ndoja e Mejia, sei pronto a stupire ancora?
«Credo si debba investire molto sul gruppo dei quattro americani, anzi tre oltre al grande contratto che abbiamo dato a Tamar Slay. È quello che ha fatto Montegranaro con ottimi risultati. Poi serviranno dei giocatori che diano fisicità uscendo dalla panchina e un paio di giovani di valore. Ho chiesto a Sindoni un budget diverso per poter affrontare anche l'impegno della Coppa e mantenere elevato il nostro livello di competitività».
– Adesso c'è il viaggio con Sacchetti a Orlando: saranno sei giorni di studio intenso...
«Intanto vediamo se torniamo vivi tutti e due. Alloggiamo all'Hotel Safari e non è detto che qualcuno finisca in pasto ai leoni in anticipo. Scherzi a parte, ci aspetta una settimana importante, nella quale avremo modo di vedere oltre ai rookie anche giocatori di importanti agenzie impegnati nei rispettivi camp. Contava molto esserci, per tanti motivi, il primo far capire agli agenti americani con quale spirito e quale piglio affronteremo il prossimo anno».
– Si riparte da alcuni contratti di rilievo firmati con grande tempestività. Tempo fa si sussurrava di una possibile separazione consensuale da Adam Wojcik, il primo a meritarsi già nello scorso novembre l'estensione sino al 2009. Se la forza di questa Orlandina è stata il gruppo, non si potrà mai rinunciare alla professionalità e umanità di un campione come il 38enne polacco.
«È una questione che affronteremo con Adam in sede di costruzione della squadra. Dovessimo puntare ancora su un centro americano, non credo che accetterà un ruolo di riserva dovendo prepararsi adeguatamente agli Europei del prossimo anno in Polonia, ultima tappa di una carriera ricca di trofei».
Paolo Cuomo

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