Lettera aperta a Marinella Venegoni de "La Stampa" in risposta all'articolo apparso sul quotidiano nazionale riproposto in basso
Gentilissima Marinella, ho ascoltato per radio Giulietta e Romeo di Cocciante e quindi devo fidarmi della sua critica. So perfettamente che ogni critica, sopratutto quelle negative, fanno crescere e danno input positivi anche se l'aggettivo "cozza", riferito a ragazzini protagonisti, qualifica irriverentemente e non fa humour (come da lei precissato in una risposta nel suo forum). Potrei sforzarmi di capire le critiche alle melodie, al libretto ec. anche se per chi compone, ed io lo faccio, è sempre un dolore perché si dispongono note e parole per procurare gioia ed emozioni ed invece... Quello che non capisco è perchè, tra le sue critiche, non emerge un elogio a questi ragazzi che sono stati lontano da casa, dagli amici, dalla scuola ed hanno soltanto provato e cantato per giorni e giorni per due lunghi mesi. Tra le sue righe non ho letto nessuno incoraggiamento a Cocciante che è l’unico che ha il coraggio di lanciare come cantati (come attori si faranno) giovani talenti a posto di propinarci le solite cornacchie stonate. Si quelle cornacchie che si inventa la TV e che, registi di musical vari, si ostinano ad inserire nei cast solo per fare botteghino. Perché neanche un grazie a Cocciante che fa botteghino con dei ragazzi? Una risposta io l’avrei. Gli esempi positivi non fanno notizia e se la fanno è perché qualcuno li sgretola. Da 6 lunghi anni lavoro ad un progetto. Lo spettacolo si chiama Frediana Musical ed è stato messo in scena in 15 teatri siciliani (l’ultimo il 5 gennaio a Taormina) solo ed esclusivamente per beneficenza. Marco Vito, il Romeo di Cocciante, è stato l’anima di “Frediana” insieme ai 50 ragazzi tra cantanti, ballerini, coreografi, registi ed autori per questo progetto che va al di la della pura e semplice beneficenza. Eppure, goli addetti ai lavori, ne parlano sottovoce senza criticarlo ne elogiarlo. E cosi non si cresce. Ci rifacciamo con gli scroscianti applausi che riceviamo, ogni santissima volta, a fine spettacolo. Ogni singolo clap percepito come spinta per andare avanti, gratitudine per il lavoro svolto perché portiamo avanti messaggio, che non è solo quello di pace e amore. Il messaggio è che dell’arena di Verona o dal palco di Taormina, tutti possono vedere che esistono giovani che, come Marco, non hanno bisogno di coltelli, pistole o droghe per godersi a pieno la vita. E che esistono grandi maestri, Cocciante compreso, che hanno il coraggio di mettere su un palco degli esempi da seguire che non sono kamikaze, guerrafondai e pedofili. Altro che cozze! Distinti saluti Pietro Di Maria Autore di Frediana Musical www.frediana.it
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Giulietta & Romeo, o di Cocciante Torniamo a rimpiangere Mogol? di Marinella Venegoni "La Stampa"
Giulietta e Romeo, ovvero Giulieo e Rometta, come dice il nostro amico Carmelo nell'ultimo post. Freddo cane all'Arena, s'è messo pure a piovere, c'erano delle poverette in abito da sera e in crisi di ipotermia. Ma non si fa, l'abito da sera. L'opera pop esige jeans e soprattutto giacche a vento, possibilmente imbottite... Un debutto, si sa, ha sempre molti e inevitabili guai. Anche questo, della nuova opera popolare di Riccardo Cocciante, non si sottrae alla tradizione. Le scenografie proiettate hanno bisogno di un più concreto aiuto delle luci, fari seguipersona e quant'altro. Le facce non si vedono, e spesso i due maxischermi non funzionano. La regia praticamente non c'è, o c'è quando le cose andrebbero comunque avanti da sole, come nelle due feste. Invece il centro dell'opera (pop) vede Giulietta e Romeo abbandonati a se stessi, uno al piano alto e l'altra al piano basso del palcoscenico (o viceversa) scambiarsi frasi d'amore per infiniti, implacabili minuti. Yawn. Il fatto è che anche il testo non aiuta. Pasquale Panella, autore del libretto e della produzione del Tardo Battisti, teorico della dissoluzione della parola nella musica, ci sfinisce con le sue iterazioni. C'à la gran bella idea dei recitativi, mutuati dall'opera lirica: ma quelli furono inventati per dar sviluppo alla vicenda, qui niente di niente. Anche il finale, per quanto denso di angoscia, si avviluppa nella tortura della parola. E basta, no? Basta. Ma possibile che ci tocchi rimpiangere Mogol? Lui (almeno il lui dei buoni tempi antichi) chissà che cosa si sarebbe inventato. I costumi: belli. Sfido, l'autrice è il premio Oscar Pescucci. I personaggi. 34 ragazzi in scena, dai 15 ai 25 anni, tutti debuttanti o semidebuttanti. Il più bravo e svelto e di presenza scenica mi è parso quello che impersonava Mercuzio. Romeo? Al debutto era il diciassettenne Marco Vito. Una cozza, con una sola espressione in viso; voce molto vicina a Cocciante però, una specie di suo alter ego. Giulietta: al debutto Tania Tuccinardi, 21 anni. Un'altra cozza. Si farà, certo, lo speriamo. Ma il duetto del balcone aveva lo stesso profumo romantico di "Non amarmi" by (come dicono le parrucchiere della Magliana) Aleandro Baldi-Arlotta. Le musiche. Alcune delle canzoni, molto belle. Ripeto che mi è piaciuta l'idea dei recitativi, purtroppo uccisi dal testo. Però non si può ascoltare una sola volta e dare un giudizio. E di registrato e divulgato non c'è ancora nulla....Non è un bel segno comunque che Cocciante sia apparso nel finale sul palco a cantare lui "Verona": un bell'omaggio, ma era come se facesse vedere ai cantanti come fare.... Però dai Riccardino, tira fuori gli attributi. Metti sotto il regista, e dì a Panella di ricomporre il senso delle parole, e inventarsi qualcosa. |