E
MO’
(Motivazione
della…sentenza, M. Mollica)
Caro Arleo,
riscrivo di seguito la tua poesia con la quale hai
conquistato la giuria, me compreso (ovviamente) che la
presiedo e che, pertanto, ho il gradito compito di elaborare
la scheda motivante: le motivazioni.
Sappi che la
tua poesia è stata votata da una giuria, che ha apprezzato
(evidentemente) il tuo suonare a forza di sogni.
E
mò
Vùlèrë
cantè chjiangènnë
O sùnè pë forzë dë suonnë
Vulèrë dërrùpè mènë e corë
Stanotte ca vènë murènnë
O vulèrë sapè pë sempë add’sì
Ma chë dicinë tuttë stë pënzìèrë
Chë volë stù tièmbë
Rosaë verë ca më dicësë attièndë
Non n’zìèndë n’dà l’arjië stù stùppièllë dë mèlë
O jè vëlènë dë vièndë
O dëlòrë pë nièndë.
Non
la poesia come fatto estetico
Non il
linguaggio (o la lingua) né la poesia come fatto puramente
estetico ma come elemento privilegiato di comunicazione,
identificazione, divertimento e svago; come strumento di
elaborazione di sofferenza, d’amore, di storia, di valori,
sentimenti e passioni.
La poesia non
intesa come deposito di parole nazionali o di dialetti
mettere in vetrina, da archiviare o mettere sotto chiave.
Anzi, la poesia
come strumento di elaborazione di sentimenti, sempre più
elemento consolidato della nostra cultura quotidiana
(urbana). Per approvvigionarsi di umanità e liricità, con
lo stesso carrello della spesa (nello stesso carrello), al
supermercato. Assieme alla pasta, al detersivo, all’acqua
minerale, alle speranze di un giorno sereno, di sole e…di
te.
Anche per
cantare i valori perduti e difendere i sentimenti, la natura,
il paesaggio.
“Il
paesaggio è cultura che si aggiunge alla natura –
scriveva Gesualdo Bufalino. Fuori dalla cultura il
paesaggio sbiadisce. Solo dopo che Armstrong ebbe toccato la
superficie lunare, solo dopo quell’orma e lo sguardo che la
scrisse nella memoria, il paesaggio della luna fu vivo”.
Del degrado dei
sentimenti, dei valori, del linguaggio
La musica e la
poesia hanno fatto del degrado dei sentimenti, dei valori,
del linguaggio o del paesaggio naturale motivi ricorrenti, di
salvezza.
La
funzione del canto, della poesia
è quella di sopportare meglio la fatica e le preoccupazioni,
serve anche a consolidare il gruppo e a stimolare sentimenti
di solidarietà nel suo interno, specie tra i più giovani,
specie quando si è giovani e il disagio della crescita si fa
forte e duro. Quando l’amore bussa alla porta e le
difficoltà hanno bisogno di elaborazione e confronto.
Poiché
il paesaggio non
belvedere di albe e tramonti
Non
fatto estetico, dunque.
“Poiché il paesaggio – sostiene Bufalino – non
è soltanto belvedere di albe e tramonti, ma anche esito di
braccia e intelligenze. Sicché non si fa in tempo, talvolta,
a bestemmiare uno scempio che già, nello slancio
dell’arcata di un ponte o nella compagine di un muro di
sassi, si è indotti ad ammirare il regalo di
un’architettura radiosa.
Tanto
da indurci a scordare per un momento, di fronte a una sola
colonna di tempio, rimasta in piedi, la violenza dalla quale
quelle mancanti furono abbattute e distrutte”.
E’
paesaggio anche questo – concluderebbe Bufalino. Ed io
ripenso alla tua poesia
“Basta
che scenda la notte e già la mia terra respira quieta,
immemore delle magagne degli uomini”.
Ora
sei poeta e puoi dire la verità
La
tradizione orale aveva quasi sempre nel poeta contadino il
suo protagonista. Quasi sempre si trattava di persone
analfabete o incolte, ma argute e ricche di spirito polemico,
capaci, ad esempio, di smascherare l’ingiustizia e di
vendicare i torti subiti dal popolo.
Il
poeta popolare era dunque un profondo conoscitore
dell’animo umano e delle cose. Per essere considerati
poeti, del resto, bisognava essere dotati di un marcato senso
della propria indipendenza.
Per
la cultura popolare il poeta era sacro a Gesù Cristo, che
andando per il mondo capitò nella stamberga di un contadino,
dal quale ricevette tutta l’ospitalità possibile.
Il
povero diavolo, riconosciuto Gesù, gli espose i suoi guai:
un nobile, con infiniti raggiri, gli aveva tolto ogni cosa,
perfino la moglie. E trovatosi, così, nella condizione di
chi è cornuto e bastonato chiedeva a Cristo le capacità e
la forza per potere svergognare quell’infame davanti a
tutti, senza dovere subire ritorsioni o altri danni.
Cristo
ripose: “Per fare
questo bisogna essere poeti”.
E
a quel punto gli soffiò l’unzione dicendo: “Va,
ora sei poeta e puoi dire la verità in faccia a tutti, anche
dinanzi agli stessi regnanti”.
ARLEO
E LA SUA LINGUA
Francesco
Alberoni fa un discorso sulle lingue delle società
dominanti, sostenendo che da queste società gli altri popoli
(e quindi le altre lingue) prendono continuamente parole,
assimilandole, fino ad integrarle nel proprio linguaggio.Un
discorso già sentito in varie epoche e più volte ripreso da
vari autori, ma che si rivela quanto mai attuale.
“Oggi,
che la cultura prevalente è
anglosassone - dice Alberoni - noi assimiliamo parole inglesi
o americane. Ma, in questa fase della globalizzazione, la
potenza dominante è tale che alcuni popoli,
perdono fiducia nella propria lingua”.
Secondo
Alberoni, non ci sforziamo di creare e tanto meno di conservare.
Lasciamo, cioè, “imbastardire
la nostra lingua e le nostre tradizioni, e adottiamo
passivamente la lingua dei
dominatori”.
E
così, “dopo le conquiste di Alessandro Magno, la lingua
dominante divenne il greco, e chiunque volesse integrarsi nei
processi dominanti doveva parlare greco. Così come il
Cristianesimo scelse il latino come propria lingua, che
divenne e rimase la lingua dei dotti”.
“È
il latino che ha plasmato la visione del mondo di tutto
l'Occidente”, dice Alberoni. Soltanto in seguito si sono
affermate le lingue nazionali (l'italiano, il francese, il
tedesco), con la loro splendida letteratura e, più
recentemente, con il loro cinema”.
“Ma
oggi torna a
prevalere una lingua sola, quella della potenza dominante che
penetra a poco a poco in tutti i settori”.
La
questione rimane aperta e molte cose si chiariranno con
l’andare del tempo. La dominanza della lingua
"globale", probabilmente sarà la tendenza del
mercato ma non la soluzione. Nel senso che si tenderà a
parlare un’unica lingua ma a capirsi in più lingue, in più
idiomi, in più dialetti.
Un
possibile esempio può venire dall’ascolto delle canzoni in
dialetto siciliano di Franco Battiato e di cantautori come
Pino Daniele, che cantando i propri testi in dialetto
stretto, riescono ad avere successo e a farsi capire (o
accettare) in tutto il mondo.
Questo
potrebbe dipendere dal fatto che i loro precedenti successi
abbiano reso accettabile tutta lo loro produzione, ma pure da
altri fattori, compresa una maggiore diffusione del
dialetto.Se così stessero le cose, con buona pace di
Francesco Alberoni e nostra, sarebbe dimostrato che la
globalizzazione non produrrà solo un processo di dominanza
linguistica ma anche una familiarità con le tradizioni dei
popoli del mondo (comprese quelle linguistiche), con cui ci
confronteremo assiduamente, continuamente, acquisendo sempre
più usanze, suoni e parole che ci avvicineranno, fornendoci
strumenti (sia pure generici e frammentari) per capirci e
comunicare.
Diceva Marcello Marchesi: "In fondo è bella la
vita di adesso / si vive più a lungo / e si muore più
spesso"
Ed aggiugeva: "Che bella età la mezza età. /
L'altra mezza non si sà.
E
in fondo è vero. Anche perchè è l'unica che abbiamo.
Perciò,
Arleo, fatti sentire. Finchè siamo in tempo.
Mimmo Mollica